Poco più di quattro mesi fa, sotto una notte stellata del deserto arabo, mi ritrovai nel “bivac” della Dakar tra tende e luci di meccanici che freneticamente mettevano mano a mezzi provati ed esausti dalla tappa di giornata.
Mi ritrovai a parlare a tu per tu con il centauro che nelle ultime edizioni si è contraddistinto più di tutti.
Ho sempre amato la Dakar, la sua epica di battaglie in velocità, combattute da motociclisti che con le ruote rigano fette di deserti lontani di un mondo esotico, in una delle corse motoristiche a tappe più difficili e pericolose mai concepite.
Così c’è stato un istante, mentre raccontavo a Toby Price del mio viaggio ascoltandone di rimando i suoi aneddoti, in cui mi sono reso conto che c’era qualcosa di distorto.
Tra una pacca sulla spalla e parole che non si possono scrivere, era come se mi stessi avvicinando con poco pudore alla sua mortale corporeità, così normale e umana. O, meglio, era come se mi stessi dimenticando la magnificenza di una creatura più da venerare, che con cui scambiarci battute. Quella nostra complicità e quel suo sguardo così simile al mio, quel suo fisico così simile al mio, mistificava la sua stessa divinità davanti ai miei occhi.
Perché quelli come Toby Price, i “grandi” del mondo o della storia, hanno qualcosa di diverso, che li accomuna. Perché non è la meravigliosa normalità dei loro sorrisi a renderle uniche, ma la magia che scaturisce l’istante esatto in cui la loro indole si unisce in amplesso a ciò che fanno, e nello specifico l’istante esatto in cui il loro sedere si poggia su una sella e si infilano il casco.
Sono Creature pure e senza compromessi. Creature programmate per prendere a spallate pervicacemente la vita perché è l’unico modo che conoscono per sentirne appieno la consistenza. Programmate per solcare la crosta terrestre e afferrare l’epica di ogni metro, che può essere quello fatale, o quello che dà loro linfa per rimanere in bilico sulla vita per un altro metro ancora.
Non cercano l’eroismo. Sono solo eroi che provano a destreggiarsi con la loro natura.
Dopo quella notte nel “bivac”, ho pensato spesso cosa fosse ciò che rendesse unici quelli come Toby Price. Quelli che vanno ben oltre il massimo raggiungibile dai comuni mortali, qualunque sia il campo di competenza . Di certo non sono solo le loro indubbie qualità.
Ad esempio, Toby non è di certo il motociclista migliore in assoluto. Ne è pieno il mondo di chi sa saltare dossi e dune, ne è pieno il mondo di chi sa aprire il gas su una pista di terra. Credetemi, anche di tecnicamente migliori.
Eppure, eppure lui vince le Dakar.
Così ho iniziato a credere che arrivati a certi livelli, quando le qualità, per quanto infinite, rimangono “umane” e bene o male si equivalgono, ci deve essere qualcosa che va oltre. Di ulteriore. Di estremamente fine ma potente e unico: di divino.
La conclusione a cui sono giunto è racchiusa in due parole. Smisurata determinazione.
SMISURATA. DETERMINAZIONE. Determinazione di gareggiare alla Dakar, ed allenarsi, impegnarsi, sacrificarsi senza compromessi. Maledirsi e seguire ad andare avanti. Volare come il vento sulle pietre e sulla vita, perché si è semplicemente determinati ad arrivare al proprio traguardo, qualunque esso sia. Smisuratamente determinati.
Ed è questo che quella notte alla Dakar c’era di distorto. Quegli occhi che mi osservavano mentre parlavo non erano quelli di una persona comune. Quegli occhi erano solo il riflesso di una superficie, di un semplice corpo di carne e ossa come ce ne sono miliardi.
Quegli occhi, invero, erano di una tigre che con addosso un casco può vincere una Dakar come altre sette miliardi di persone non possono fare. Sette miliardi di persone. Sette miliardi.
Io di certo non sono come Toby Price e non sono come tutti coloro che con smisurata determinazione riescono ad essere creature uniche nel rispettivo campo. L’unica cosa che so è che sono determinato a finire questo giro intorno al mondo con la mia vecchia Vespa. Ora sono bloccato in Iran da quasi quattro mesi e non so quando potrò ripartire. E anche se potessi entrare in Pakistan, non so come sarà attraversare le cento frontiere a seguire.
Non sarà facile, non so quanto tempo ci vorrà, ma ci metterò tutta la mia determinazione. Nella speranza che sia, almeno per un decimo, smisurata.
Sperem
Just over four months ago, under a starry night in the Arabian desert, I was in the Dakar rally “bivac”, through tents and lights of mechanics who frantically were trying to fix exhausted vehicles from the day’s stage.
I was talking face to face with the centaur who has distinguished himself in recent editions.
I have always loved the Dakar, its epic of speed battles, fought by motorcyclists who cross deserts of an exotic world, in one of the most difficult and dangerous motor racing stages ever conceived.
So there was an instant, while I was telling Toby Price about my trip listening to his anecdotes in return, in which I realized that there was something distorted.
Between a pat on the shoulder and words that cannot be written, it was as if I was approaching with little modesty his mortal body, so normal and human. Or rather, it was as if I were forgetting the magnificence of a creature more to be venerated than to exchange jokes with. Our complicity and his gaze so similar to mine, his physique so similar to mine, mystified his divinity.
Because those like Toby Price have something different. Because it is not the wonderful normality of their smiles that makes them unique, but the magic that springs from the exact instant in which their nature joins in full with what they do.
They are pure and uncompromising creatures. Creatures programmed to stubbornly shoulder life because it is the only way they know to fully feel its consistency.
They don’t seek heroism. They are just heroes who try to juggle their nature.
After that night in the bivac, I often thought what it was that made people like Toby Price unique. Those that go well beyond the maximum achievable by ordinary mortals, whatever the field of competence. It is certainly not just their undoubted qualities.
For example, Toby is certainly not the best biker ever. The world is full of those who know how to jump bumps and dunes, the world is full of those who know how to open gas on an earth track. Trust me, even technically better.
But, but he wins the Dakar race.
So I began to believe that when you reach the highest levels, when the qualities, however infinite, remain “human” and are more or less are equivalent, there must be something that goes further. Something Extremely fine but powerful and unique: divine.
The conclusion I came contained in two words. Immeasurable determination.
IMMEASURABLE. DETERMINATION. Determination to compete in the Dakar, and train, commit, sacrifice without compromise. Curse yourself and keep going. Fly like the wind over stones and life, because you are simply determined to reach your goal, whatever it is. Hugely determined.
And that’s what was distorted that night in the Dakar. Those eyes that looked at me while I spoke were not those of an ordinary person. Those eyes were only the reflection of a surface, of a simple body of flesh and bones like billions of them.
Those eyes, indeed, were of a tiger who with a helmet on can win a Dakar as other seven billion people cannot. Seven billion people. Seven billion.
I’m certainly not like Toby Price and I’m not like all those who with boundless determination manage to be unique creatures in their respective fields. The only thing I know is that I am determined to finish this Grand Tour around the world with my old Vespa. I have been stuck in Iran for almost four months now and I don’t know when I will be able to leave. And even if I could enter Pakistan, I don’t know what it will be like to cross the hundred borders to follow.
It won’t be easy, I don’t know how long it will take, but I will put all my determination into it. In the hope that it will be, at least for a tenth, immeasurable.