Un giorno, un mio amico cavallerizzo mi disse che nelle gare di salto non c’è molta differenza nel gareggiare con uno stallone o con una femmina. Mi stupii, abituato io a una bipartizione chirurgica tra fisicità uomo-donna, animale o umana, negli sport come nelle attività motorie.
Non ero ancora stato in Africa.
Sono le donne che smuovono il continente nero. Gli uomini tagliano, costruiscono, demoliscono, comandano. Ma le donne trasportano. Trasportano la legna per cucinare, l’erba per gli animali, le vettovaglie, l’acqua, la terra e le pietre (oltre, ovviamente, ad adempiere alle occupazioni domestiche). Sono le donne che sorreggono l’Africa, in perfetto equilibrio, sulla loro testa. Come Atlante. Che si tratti di una bottiglia o di un tronco, che abbiano 4 anni o 70, poco importa. Non ci sono limiti autoimposti. Nemmeno le ernie, a quanto pare. Ed amo le loro schiene, il trapezio definito, le spalle fibrose, le braccia modellate tra bicipiti e tricipiti. Sorrido con velata vergogna, io, dottore in economia, mani lisce e senza calli, che per avere un accenno di tonicità dovevo andare in palestra a sollevare ghisa fine a se stessa