In questo scorcio di questa mia esistenza nomade, la sera, nella mia tenda, ascolto i canti che arrivano da qualche capanna appoggiata nella savana. Sono canti semplici, dolci, di bambini e di donne che si riuniscono intorno ad un fuoco. Sono la mia ninna nanna. E mi commuovo. Lo sai anche tu, caro Giorgio, l’Africa è una mamma dolce. Cosi me li immagino sorridenti e con quei piedini impolverati che calpestano il mondo senza scarpe, che lo vivono e lo attraversano leggeri, quei cuccioli di uomo che durante la giornata mi tengono compagnia dai cigli delle strade, che mi salutano e che provano a riconcorrermi per divertirsi. Alla fine il Senso è tutto qui. E l’Africa è una mamma semplice che ti fa capire il Senso con un sorriso o dei piedini scalzi.
Qualche giorno fa ero nel piccolo Swaziland e durante la giornata di pioggia in cui l’ho attraversato non ha fatto altro che piovere. E ti ho pensato molto da dentro il mio casco bagnato. Completamente assorto, era come se fossi nella mia cameretta di Milano, durante uno di quei sabati pomeriggio autunnali e uggiosi, di quando io ancora liceale, con gli occhi fissi su uno dei tuoi libri, mi riservavo quel piacere atteso da tutta una settimana. Il sabato pomeriggio era per noi, per me e per te, per me e i tuoi viaggi.
Fu mia madre a regalarmi il tuo primo libro. Sulla prima pagina mi aveva scritto “Non ti far venire strane idee, mamma”. Boom! Il punto di non ritorno della mia vita. Da quel giorno diventò nomade.
Cosi, mentre la pioggerellina dello Swaziland offuscava i miei chilometri, ricalcavo con la mente quella tua manina di scimmia nel piatto, o quel Masai sotto l’albero di baobab, o quando sei arrivato a Città del Capo, o alla marocchina birichina, o al tuo sequestro nel Congo. Spezzoni di una tua vita lontana, che nebulizzano in un bianco e nero che danno enfasi alle linee, alle figure create con la mente.
Tu eri il mio pezzetto di mondo, magico, affascinante e personale, che assorbivo pagina dopo pagina, senza nemmeno accorgermene. Mi stavi mostrando la direzione, per incontrare il Senso. Che sia il sorriso di un cucciolo di uomo o dei piedini scalzi.
E vedi, alla fine si collega un po’ tutto. Esattamente dieci anni fa sei partito per il tuo ultimo viaggio. Io, invece, è un anno oggi. E ogni tanto, ancora adesso, mentre magari sono seduto su una panca di legno con davanti un piatto di carne di gazzella, non mi stupirei se ti vedessi passare davanti con la tua Vespa variopinta di bandierine. Dopotutto eri magico, e per me, noi, lo sarai sempre.
Ciao Giorgio,
Ilario Lavarra
In this part of my nomadic existence, in the evening, in my tent, I listen the songs that come from some hut in the savannah. They are simple, sweet songs of children and women who gather around a fire. They are my lullaby. And I get emotional. You know it too, dear Giorgio, Africa is a sweet mother. So I imagine them smiling and with those dirty feet that cross the world without shoes, those man puppies who during the day keep me company from the streets, who greet me and try to run me back for have fun. In the end, the Sense of life is all here. And Africa is a simple mother who makes you understand the Sense with a smile or dirty feet.
A few days ago I was in the small Swaziland and during the rainy day when I crossed it, I thought a lot about you, Giorgio. Completely absorbed in my wet helmet, it was as if I were in my bedroom in Milan, during one of those autumn Saturday. During those gloomy afternoons, when I was still a high school student, I reserved the pleasure I has been waiting for a whole week. Saturday afternoon was for us, for me and for you, for me and your books.
It was my mother who gave me your first book. On the first page she wrote “Do not make strange ideas come to you, mamma”. Boom! The point of no return of my life. From that day my life became much more nomad.
So, while the Swaziland drizzle clouded my miles, I thought back that little monkey’s hand in your plate, or that Masai under the baobab tree talking with you, or when you arrived to Cape Town, or the Moroccan girl, or your kidnapping in the Congo. You were my piece of world, magical, charming and personal, which I absorbed page after page, without even realizing it. You were showing me the direction, to meet the Sense.
And see, in the end everything is connected. Exactly ten years ago you left for your last trip. Meanwhile, for me, today is exactly a year from my left. And sometimes, even now, while maybe I’m sitting on a wooden bench with a plate of gazelle meat in front of me, I would not be surprised if I saw you pass by with your Vespa full of flags. After all, you were magical, and for me, for us, you will always be magical.
Bye Giorgio,
Ilario Lavarra