I libri
21 Americhe – Ultra Edizioni
Pagine: 332
Formato: 15 x 21
Copertina flessibile
ISBN: 9 788867 794914
Ilario Lavarra racconta il viaggio in solitaria che ha compiuto su una vecchia Vespa attraverso l’intero continente americano.
Un viaggio durato 18 mesi e 82.000 km, senza sponsor e senza un itinerario preciso.
Ogni giorno una scoperta, un fuori programma. A volte, una conferma: quando le immagini della fantasia trovano riscontro nella realtà, come nello Yukon di Jack London, nella “Frisco” di Kerouac, nei Caraibi di Hemingway, nella Patagonia di Chatwin.
Con grande sincerità e passione, l’autore trasporta sulla carta esperienze, avventure e disavventure, ma anche impressioni e pensieri, nonché la sua personale filosofia che, prima di tutto, vede il viaggio come un momento di crescita personale.
Se lo scopo del viaggio è il viaggio stesso, questo si inserisce nella migliore tradizione dei grandi globetrotter di un’epoca, purtroppo, ormai trascorsa.
Attravespando le 21 Americhe
Pagine: 130 pagine
Formato: 30x21cm
Copertina rigida con cofanetto in cartone
ISBN: 9 791220 018975
2000 copias, numeradas.
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LIBRO FOTOGRAFICO: EDIZIONE LIMITATA E NUMERATA
Intro: La Guajira
Ci fermammo alla seconda capanna di Uribia, quella che fungeva da benzinaio. Era bassa ed essenziale e del tutto uguale alle altre cinque, eccetto i cestelli vuoti di plastica ben esposti sull’uscio, l’insegna informale che stavamo cercando già da alcuni chilometri. La fornace di mezzogiorno schiacciava l’atmosfera su quell’asfalto colombiano, arroventato e martoriato. Ad alzarsi in volo c’era solo il ronzio di qualche mosca. Tutt’intorno era già deserto, anche se ufficialmente non vi eravamo ancora entrati. Quando i due inservienti uscirono dall’ombra, io e Quique avevamo già alzato le selle delle Vespe e versato l’olio nei serbatoi. Volevano ridurre al minimo la loro esposizione al sole secco e ruggente. Non li biasimai. Gli invidiai la pelle nera. «Tres litros mas?», mi fu domandato, finito il primo flacone di benzina. Le frazioni di flacone non dovevano essere contemplate e sicuramente non avevano prezzi proporzionati. Tanto valeva riempissi tre litri alla volta anche le taniche di scorta. Non avremmo incontrato altri rifornitori, almeno per qualche giorno, fino a quando saremmo ripassati da lì. Così il maggiore dei due fratelli attaccò con la seconda razione di carburante e di domande, suppergiù le stesse che mi venivano rivolte da quando parecchi mesi prima ero partito da New York. Ora che stavo percorrendo la via del ritorno, sapevo ormai bene che l’unica variante dei benzinai latinoamericani era sapere se fossi sposato o avessi figli. Non ho mai capito se l’argomento «famiglia» fosse sentito maggiormente, o perché la cultura latina che ci accumunava implicasse più confidenza.
Dopo la mia Vespa, toccò a quella di Quique. Ancora una volta fu il maggiore dei fratelli a riempirla. Vestiva con pantaloncini corti e una canottiera da cui s’intravedevano le costole di un corpo gracile; le grosse labbra che sporgevano dall’incavo delle guance erano il suo unico lembo carnoso. Il più piccolo, invece, conservava i tratti morbidi dell’infanzia e aveva uno sguardo furbo e scaltro, ancorché fosse relegato dal fratello a starsene muto, a osservare i pochi mezzi che passavano da Uribia senza rallentare. Uribia non era altro che un insediamento isolato di cinque capanne dimesse e dismesse, di bancarelle provvisorie. L’unico artefatto in muratura consisteva in un piccolissimo minimarket al di là dell’incrocio che vendeva generi di prima necessità. Fu la fermata successiva. Comprammo cibarie sufficienti per i tre giorni seguenti di quasi completa solitudine. Oltre lo spigolo del minimarket, con chirurgica precisione, iniziò poi lo sterrato, ingresso non segnalato alla peninsula de la Guajira, la regione più a nord della Colombia e dell’intero Sud America. Era uno stradone largo, sovradimensionato quanto spopolato. Soprattutto dritto, terribilmente dritto, mentre intorno una piana ricoperta da arbusti sciorinava noiosamente, a oltranza. Tre greggi di capre furono l’unica forma di vita che incontrammo. Ci fermammo a ogni occasione. I pastori, appallottolati sulle ginocchia, se ne stavano immobili e mezzi assopiti sotto la rara ombra di un qualche alberello secco e nerboruto. Anche loro erano secchi e nerboruti, bruciati dal sole e glabri. Un’assonanza con la natura che avevo già riscontrato ad altre latitudini, quasi si trattasse di una forma di adattamento. Il carattere non era da meno e così le risposte che ricevemmo furono scarne e sempre uguali. «Manca abbastanza», le due sole parole che pronunciarono tutti e tre prima di ritirarsi nel mutismo riguardoso. Non c’era data sapere la distanza esatta dalla nostra meta. Cabo de la Vela rimaneva «abbastanza» lontano, o «abbastanza» vicino, in modo del tutto indipendente dalla strada percorsa. La mia cartina ormai consunta tratteggiava un’area desertica e inospitale, senza punti di riferimento. Non diceva altro neanche lei.
[…]
Intro
Non era mia intenzione scrivere un libro sul mio periplo intorno al continente americano, e ancor meno pubblicare un libro fotografico.
Quando, dopo 82.000 chilometri, sono ritornato in Italia, non ho potuto far altro che di- stillare e quindi cristallizzare su carta quei miei diciotto mesi di viaggio. Mi sarebbe stato impossibile iniziare una nuova vita come se quella che l’aveva preceduta, fatta di chilometri e incontri, non avesse modificato la mia visione delle cose. Così, è nato 21 Americhe, edito da Ultra.
All’interno dello stesso vi sono alcune foto in bianco e nero. Non sono altro che foto “di appoggio”, alleggerimenti al testo stesso, senza alcuna velleità artistica. Penso, infatti, che un buon libro di narrativa, sempre che il mio lo sia, non abbia bisogno di molte illustrazio- ni (che rischiano solo di soffocare l’immaginazione stessa del lettore).
Però, di pari passo all’aumentare dei lettori di 21 Americhe, cresce il numero di chi, affa- scinato e incuriosito dalla mia avventura, mi confida che avrebbe gradito osservare scatti a colori. Quindi, ripensandoci, credo non vi sia alcuna incongruenza se le pagine che qui seguiranno saranno usate come colorato compendio per integrare il libro edito da Ultra. In fin dei conti, tutto il mio rapporto con la fotografia è stato una costante evoluzione.
Sono partito da New York scattando, senza troppo ordine logico, ciò che mi capitava “a tiro”; con il passare dei chilometri e delle settimane, più entravo all’interno del mio viag- gio, più emergeva la necessità di immortalare in modo più strutturato e artistico ciò che stavo vivendo . Sempre più frequentemente mi capitava di cercare lo scatto “perfetto”, l’inquadratura più coinvolgente, aspettando con pazienza la luce e la situazione migliore; facevo addirittura decine, se non centinaia di chilometri per immortalare con la mia piccola Panasonic qualche scorcio di mondo.
La fotografia, silenziosamente, stava diventando una delle ragioni del mio viaggio. Quindi, forse, è giusto far emergere a pieni colori questo aspetto.
Anche perché, in ultima analisi, se un libro di viaggio cristallizza a posteriori quello che si è vissuto, la fotografia lo cristallizza in modo simultaneo. Sono due aspetti complementari, che ruotano attorno ad un Viaggio e a quel suo tentativo di umana debolezza di cercare di strappare alla caducità del mondo un pezzettino di eternità.
Alcune recensioni:
Tra i grandi raid, uno degli ultimi e più affascinanti è quello raccontato da Lavarra. Gli incontri sono stati numerosi e di forte impatto. Un viaggio che dal punto di vista delle emozioni ha avuto probabilmente pochi rivali.
Corriere della Sera
Perché questo è il vero viaggiare.
la Repubblica
“21Americhe” è il racconto di quel viaggio denso di trame emotive che si intrecciano, dove tutti vanno a sfiorare l’onda euforica di quella libertà spensierata, egoista e terribilmente faticosa.
la Stampa
Motociclismo
Leggendo 21 AMERICHE ci si trova ad essere testimoni del suo mondo, del suo approccio al viaggio e all’incontro, un modo di vivere la strada a volte incosciente, forse non sempre condivisibile ma proprio per questo affascinante. Ilario ha saputo cogliere l’opportunità che non tutti hanno di potersi staccare dal quotidiano per mesi e mesi e dedicarsi a ciò che più gli piace, ed ha saputo trovare in se la determinazione necessaria per arrivare alla fine del percorso.
“…mi rimaneva solo la consapevolezza di essere l’unico padrone di me stesso, tutte le volte che gioivo per le poche materialità a cui avevo ridotto la mia vita, tutte le volte che tutto si svelava meglio di come l’avessi immaginato (…). Non ci si nasconde da niente a 55 km/h. Non si scappa dalla pioggia che bagna, né dal sole che scioglie, né da se stessi. Perché i pensieri a 55 km/h sedimentano. E così, dopotutto, questo viaggiare su una vecchia Vespa non è nemmeno una provocazione, ma solo una filosofia (…) fino a sfiorare quella sublime, leggera ed estrema sensazione che i più chiamano, libertà.”
Lorenzo Franchini – “Chilometri di parole in Vespa” (www.kmparoleinvespa.tk)
[…] Sal, dobbiamo andare e non fermarci mai finché non arriviamo.
– Per andare dove, amico?
– Non lo so, ma dobbiamo andare.
Qui è tutta l’essenza di ON THE ROAD di Jack Kerouac. La stessa essenza riscontrabile in “21 Americhe” (e non “Zi d’Americhe”) del Kerouac delle fonderie modenesi.
332 pagine, che ondeggiano tra momenti da cardio palma e contemplazione serena dell’universale natura umana e geografica, tra incontri casuali con altri matti come lui o incontri dettati dall’inevitabile richiamo di una visibilità crescente acquisita strada facendo tra gli altri amanti “dei due tempi”, tanto da farlo accogliere in alcune città come se fosse arrivato il generale Patton a liberare la Sicilia. E in tutto questo…la coprotagonista silenziosa…LA CORAZZATA…nipote di una ben più nota PODEROSA. Quel “Coso” o “scooter” che sembra non mollarlo mai e che come una instancabile compagna di viaggio a volte sembra però dirgli “Basta! Sono stanca! Mi fermo qui! Tanto passerà un angelo custode a rimettermi in piedi e a salvarci”. In questa affannosa estate milanese si è catapultati in questo lunga avventura. Un ufficio, ormai avviato alla chiusura estiva, diventa la maledetta Dalton Highway dell’Alaska, tra freddo artico e conto alla rovescia per la benzina, un panchina di un parco diventa una barca ondeggiante alla deriva (Ti se matt comunque!) in mezzo ai Caraibi con tanto di capitano con tibia ferita, il letto di casa la desertica Patagonia con il suo vento e le sue pietre.
Chi conosce/sopporta Ilario da molti lustri ci ritrova parecchio dell’autore. L’intraprendenza, l’incoscienza, la testardaggine (- non andare lì! E’ pericoloso- E’ il mio viaggio! Rischio quanto mi pare!-), il suo senso del risparmio tanto da farlo accampare in mezzo al nulla in compagnia degli orsi (che credo che solo per pura pietà non ti abbiano scelto come aperitivo del giorno!), il suo essere scaltro (fingersi della Polizia di Stato italiana per non pagare mazzette a poliziotti corrotti…solo te!)…e anche un Ilario inedito….notti blues a Chicago, termini come stratocaster, Blue Grass (Chi??La stessa persona che mi obbliga a mettere Radio Italia in macchina??). Ma chi sei davvero Ilario Lavarra?! 🙂
E quando si arriva alla fine dell’ultima pagina di questo libro che ci ha fatto sedere sulla sella della Corazzata, la cosa più spontanea che viene da fare è chiudere la copertina e pensare “Wow, ho girato il continente!” good job badass on a fuckin’ Vespa!
Marco Cruccu – prof.di cinematografia e teatro